venerdì 31 ottobre 2008

Izmir

Il lungomare di Izmir nelle giornate ventilate è molto più godibile.
L’aria profuma quasi, se l’annusi passeggiando piano.
Gruppi di studentesse seduti in cerchio sull'erba ridono tra loro, commentando i passanti. Carine con le gonne a scacchi scure e le camice chiare.
Alcune hanno occhi neri e profondi come zingare.
Cantano.
Tante le persone sdraiate sul prato, a riposare, ad ammirare il mare.
Esercitano la nobile arte dello stare semplicemente.

Vado avanti per un po prima di trovare una panchina che mi ispiri.
Adoro ascoltare i discorsi di quelli seduti sul muretto vicino al mare.
Un piccolo muretto, poco più di un metro, che separa le coppiette innamorate dal mare.
I loro sguardi languidi, sguardi vergognosi di ragazze al primo bacio.
Assaporo le sfumature della voce, ignorando completamente il significato.
Immagino sempre una storia dietro una frase, un intero discorso.

Alcuni pescano con lenze molto fini che nemmeno si vedono, altri seduti in gruppo commentano il passeggio.
Il muretto basso del lungomare di Izmir.
Mi domando come faranno quando il mare si infuria.
Staranno rintanati nelle loro case, aspettando che si possa tornare a fumare e godersi il passeggio, come dopo una guerra.

Rientro per le strade interne.
Rumorose e trafficate quelle principali, silenziose ed intriganti quelle secondarie.
Tutto un po disfatto, decadente.
Ogni tanto un palazzo nuovo fiammante in costruzione aggiunge una nota in più al contrasto tra vecchio e nuovo, tra ricco e povero.
Da un terrazzino al primo piano in un vicolo, una prostituta guarda sorridendo, fa un cenno. Le mando un sorriso.

Nei baretti scuri i vecchi giocano a carte, mentre all’angolo il carretto vende taralli e panini agli studenti che si fermano a gruppi.
Il prezzo delle cose è noto solo a loro, a quelli del posto.
Perchè qui nessuno espone i prezzi, nè i negozi nè tantomeno i venditori ambulanti.
Ti guardano in faccia e decidono qual sia il prezzo giusto per te.
Ovviamente il prezzo giusto per lo straniero è sempre più alto.
E non parlano nemmeno una parola di inglese.

Il traffico è selvaggio come a Roma.
Tutti suonano il clacson al minimo intralcio, e spesso si mandano a fare in culo senza troppi complimenti.
Però in Turco.
Anche a Roma non parlano inglese.

Camminare richiede concentrazione perchè le strade sono sgangherate, inciampare è facile.
Alla fine ti senti stanco ed un po pieno degli odori e delle parole incomprensibili di un posto che fatichi a capire. Sai che ti mancano gli strumenti, o forse solo la voglia.
A piccoli passi, il piede torna.
Sulla via di casa.

Cavi a bordo.
Pronti a partire.

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